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Milano

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COM'ERA UNA VOLTA MILANO

di Fernanda

 

io associo com’era una volta Milano ai tempi della mia infanzia. La via Deffenu, dove abitavo, si trovava in periferia allora. Infatti ricordo che noi bambini giocavamo in strada e mio papà fece costruire due assi attraversate da una fune per permetterci di praticare il salto in alto. Evidentemente di macchine in transito se ne vedevano poche.

Piazza Leonardo da Vinci, dove c’era la mia scuola elementare (che esiste tuttora), era uno spettacolo da vedere. Aiuole pulite, alberi secolari, vialetti così ben disegnati da formare delle figure geometriche. Poi, udite, udite, ricordo la figura di un vigile che camminava tutto il giorno, controllando, rimproverando e multando chi calpestava le aiuole o strappava i fiori.

Provate ora ad attraversare la piazza! Persino molti alberi sono scomparsi; non esistono più  le aiuole ed i sentieri che conducono verso il Politecnico sono stati formati dagli studenti che giornalmente fanno lo stesso percorso più comodo per loro.

Ho cambiato via spostandomi prima con i miei genitori in una casa d’epoca di Via Ampère e poi in una casa nuova in via Accademia quando mi sono sposata. Dopo una decina d’anni un’occasione mi ha riportata nella stessa casa, stesso piano, ma altra scala dove abitavano i miei genitori. Ho cambiato case ma non la zona che si è allargata.

Dove non c’era niente, ora ci sono case, negozi e dove passava il tram che in dieci minuti mi portava al lavoro, transita ora la seconda linea della metropolitana che s’incrocia con le altre e fa di Milano una città viva, ricca di cultura e di arte, sempre in movimento. Io l’amavo prima e continuerò ad amarla sempre. La mia Milano.

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MILANO

di Noemi

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Milano è la mia città: il luogo dove sono nata. Mi ha accolta come una madre e mi ha offerto mille possibilità.

Da piccola la sentivo amica quando nelle sere d’inverno calava la nebbia; può sembrare strano, ma adoravo passare nel cortile e sentirmi avvolta nella sua bruma; mi offrivo sempre volontaria per tutte le piccole commissioni che erano necessarie e che mi permettevano di uscire almeno sul ballatoio. Affacciata di nascosto  sulla strada mi fermavo a guardare il paesaggio: e tutto era silenzioso e attutito dalla nebbia. Gli alberi si vedevano appena e le cose erano indefinite esfocate.

Era il momento magico in cui eravamo sospesi: io e  la città nella sua periferia. Durava un attimo e in genere  Il rumore dei passi frettolosi di qualche viandante mi faceva scappare dentro casa.

Per molti anni Milano, per me, è stata Lambrate con le sue sirene e con tutti gli operai che andavano a lavorare nelle fabbriche; la sua stazione e i pendolari che scendevano e correvano sempre frettolosi. A volte si fermavano a bere qualcosa nella osteria dei miei genitori o proseguivano velocemente.

Erano gli anni del dopoguerra e la gente era contenta e unita. Si respirava la felicità di una vita più serena e senza tutti gli orrori della guerra. Specialmente gli uomini erano solidali fra di loro e si scambiavano i ricordi della vita militare.

Il boom economico e la costruzione del quartiere Feltre segnarono un notevole cambiamento nel mio universo: c’erano operai di tutte le regioni che venivano a mangiare e per tutto il tempo libero rimanevano a giocare a carte o a bocce. Ad un certo punto, per nostra fortuna, venne proibito il gioco della morra, che era fonte di pericolosissime liti.

Con l’età dell’adolescenza mi capitava sempre più spesso di andare “di là del ponte”, espressione che indicava l’ attraversamento del  sottopassaggio della ferrovia che portava in via Porpora e poi in piazzale Loreto. La scuola superiore che frequentavo era vicina a quella piazza ed ho iniziato  il liceo l’anno in cui scoppiò la bomba in piazza Fontana. In quegli anni da piazzale Loreto partivano i cortei degli operai in sciopero o degli studenti con gli slogan e le bandiere. La città è stata ferita dalla strage, ma era sempre viva e attenta.

Sono stati anni difficili per me perché studiavo e lavoravo con i miei genitori, ma sono riuscita a fare la maturità senza  incidenti di percorso.

Quando mi sono iscritta all’Università Statale di Via Festa del Perdono ho scoperto la Milano dell’arte e l’ho amata follemente: Le pinacoteche di Brera, l’Ambrosiana, quella del castello e poi tutte le chiese. Mi sono messa d’impegno e volevo conoscere tutto, poter dire di aver visto tutto, ma non ci sono riuscita;  ha vinto lei ancora oggi ho moltissimi posti che vorrei vedere e che non conosco.

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VISITA DI DUE PADIGLIONI ALL'EXPO DI MILANO

di Noemi

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Con un gruppo di persone siamo andati all’EXPO e penso che per chi abita in questa città sia una tappa importante per capire ciò che ci accade intorno.

La struttura è imponente e colpisce la varietà  dei padiglioni che sono diversissimi per architettura  e materiali usati: ogni nazione ha realizzato delle soluzioni che richiamano ognuna la propria cultura o l’ambiente della  propria terra.

Ci sono andata un po’ impreparata, senza aver deciso cosa visitare e quindi la scelta è avvenuta un po’ a caso. In alcuni padiglioni c’erano file interminabili che non avevamo voglia di affrontare; l’unica coda che abbiamo fatto è stata quella del Kazakistan e, secondo me, ne è valsa la pena. Tutto il loro padiglione era curato da una Università e  la visita è stata molto interessante e anche istruttiva.

All’inizio abbiamo assistito alla rappresentazione della storia del loro paese tramite la tecnica dei disegni realizzati con la sabbia e proiettati su uno schermo; ne sono rimasta incantata e l’artista che li ha eseguiti era anche molto bella e gentile.

Siamo poi passati in una altra sala dove c’erano alcune delle loro coltivazioni e un melo in piena fioritura. Il frutto di questa pianta era quattro volte più grande di uno normale.

 La guida ci ha mostrato poi una vasca piena di storioni vivi di circa due anni  e di diverso colore; ogni varietà produce un diverso tipo di caviale (ad esempio quello tigrato  fornisce , credo, il caviale rosso) . La vita media degli storioni supera i sessanta anni!

Un problema molto grave che devono affrontare in  Kazakistan è quello della proliferazione delle locuste; in questa sezione ci hanno mostrato la realizzazione dell’habitat con tanto di mais e questi insetti, che sono i veramente molto grossi.  Al di sopra c’erano appesi dei droni e ci hanno spiegato che li utilizzano per monitorare le coltivazioni ed effettuare interventi mirati senza diffondere inutilmente gli insetticidi su vaste zone.

Una cosa molto interessante e originale è stata la rappresentazione del disastro ecologico del Lago Aral che veniva fatta manipolando un recinto che faceva cambiare la rappresentazione geografica fatta a terra e che, ovviamente , non andava calpestata. Impressionanti le enormi fotografie che mostrano un territorio quasi desertico. Sostengono di aver realizzato una diga nei loro territori e che lì il lago si sta riformando.

In una ultima stanza erano realizzati delle proiezioni e delle luci che potevano essere visualizzate anche con dei tablet appesi e che ognuno poteva sperimentare.

Di genere molto diverso era il padiglione del Bahrein, che ho trovato bellissimo e poetico. Ci sono tornata due volte perché per me che amo molto  le piante era veramente un sogno. La costruzione realizzata in pietra bianca con degli spazi in cui erano sistemate piante bellissime e antiche tra cui fichi d’india, melograni, limoni, palme, gelsomini ecc. L’architettura faceva da cornice a questi bellissimi piccoli giardini.

La struttura verrà poi riportata in Bahrein e sarà un orto botanico. Molto interessante la realizzazione di un materiale di legno che viene trattato e che sembra uguale a un marmo.

Ho visitato Molti altri padiglioni , ma questi sono stati quelli che ho preferito. Molto bello è stato vedere tante diverse culture ed etnie.

Ci sarebbero inoltre moltissime  considerazioni da fare rispetto  all’immagine di ricchezza che  EXPO dà , senza contare del problema di cosa fare dopo di questa struttura.

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