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Ricordi

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DAVANTI A UN FIASCO DE VIN ....

di Noemi

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Questo era  l’inizio di una canzone di Lelio Luttazzi di qualche anno fa…Mi è capitato di risentirlada un vecchio disco  in questi giorni; certo è finita nel dimenticatoio e allo stesso modo è quasi scomparso il fiasco toscano: pensare che era una antichissima tradizione italiana!

Era nato in Toscana all’inizio del Trecento ed era costituito da una parte in vetro e da un rivestimento in paglia o in materiale vegetale intrecciato. Compare in molti quadri celebri e negli affreschi di Domenico Ghirlandaio. La sua capacità è cambiata nel corso dei secoli e si è via via rimpicciolita sino a diventare quella che noi conosciamo nel 1965.

Nella nostra trattoria ne ordinavamo in grosse quantità ed era bello vederli sulle tavolate, ma la parte in paglia si deteriorava facilmente o si macchiava in cantina e creava degli aloni scuri. Quando arrivavano i nuovi fiaschi, quelli vecchi venivano ritirati sempre: era sufficiente che fosse integra la parte in vetro. A quel punto a me piaceva metterli negli scaffali e ordinarli a seconda della qualità del vino per agevolare chi scendeva in cantina a prenderli. Lo trovavo molto distensivo e i miei erano contenti del lavoro che facevo.

Durante una estate trascorsa in Friuli ho passato buona parte del mio tempo ad osservare  mio zio: in genere mi diceva cosa stava facendo o lo capivo da sola, ma quella volta era proprio un mistero.E non ne voleva parlare. La zia e i cugini non ne sapevano nulla e dicevano che aveva in mente qualcosa e bisognava lasciarlo stare; io, però, ero curiosa.

Quando era a casa dal lavoro non stava mai inoperoso e io amavo vederlo lavorare  nella sua attrezzatissima  officina. Aveva cominciato andando nei canneti a prendere dei rami verdi, flessibili, ma  poi si era messo a lavorare col legno e aveva fatto delle rotelle con dei buchi. Non ci capivo più nulla…

Ad un certo puntosi era messo a trafficare con i fiaschi; li ordinava, li puliva e toglieva la parte in paglia. Li aveva anche  messi al sole ad asciugare.

Un giorno memorabile per me, si è messo la tuta da lavoro si è seduto a lavorare. Prima ha preso le rotelle di legno, poi ha infilato i fuscelli flessibili e ha cominciato a rifinire il fondo, la base.

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I SALAMINI 

di Noemi

 

La faccenda dei salamini mi ha molto turbato quando ero piccola.

Avevo sentito raccontare questa storia da mio padre stesso, mentre mangiava e parlava con un amico di cose successe in tempo di guerra.

“Quanta fame, allora…..” e iniziò a raccontare. Non so dove si verificò il fatto, ma sicuramente in patria, prima di partire per la Grecia…. Lui rivestiva il grado di sergente e comandava dei soldati.

Il cibo era scarso e quel giorno i militari erano molto eccitati: era arrivato un rifornimento di salsicce e ad ognuno ne spettava una parte. Era quasi una festa e tutti erano allegri.

Mio padre non sapeva dire perché quel giorno decise di fare una ispezione nella cucina, forse grazie a quell’istinto che lo guidava a volte.

Entrò guardò quello che facevano i cuochi e diede un ordine categorico: “Scavate una buca!”.

E in quel punto fece seppellire tutte le salamele. Sapevo come agiva: senza mai dare spiegazioni, deciso. E mi immagino come siano rimasti allibiti tutti.

“Perché hai fatto così?” chiesi.

Aveva visto che i militari, che non erano cuochi di professione, avevano messo a bollire i salamini con il loro bollino di piombo. Lui, che era stato cameriere, sapeva che il cibo era ormai diventato tossico.

Io mi angosciavo pensando a tutti quei soldati scontenti, ma adesso da adulto capisco che probabilmente gli furono grati. …….. e fu così che quei cuochi improvvisati impararono a cucinare.

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LA SEDE PROVVISORIA

di Noemi

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Mi bruciano gli occhi, come mai la luce è così forte all’improvviso? Ho così tante cose da fare…

La Preside deve andare ad una conferenza di servizio e devo assolutamente farle firmare tutti questi certificati, quelle lettere preparate dalle mie colleghe….

E’ troppo forte questa luce, così strana…. E’ stato allora che alzando gli occhi ho visto un vero miracolo della natura, che mi ha stupita e  commossa…

Dopo tutti i mesi invernali trascorsi in quell’ufficio improvvisato e triste, dopo tutte quelle giornate passate in emergenza e senza gli strumenti ordinari del mio lavoro, dopo una mattina buia e piena di nebbia, il sole è spuntato all’improvviso illuminando tutto ed ha fatto sbocciare le gemme dell’albero, che tutti i giorni vedevo dalla finestra. Una cosa straordinaria, fiori bianchi e rosa che occupavano tutto lo spazio oltre la mia finestra, uno scenario stupendo che mi ripagava in un momento di tutte le difficoltà che avevo vissuto in quel luogo. Ho chiamato tutti, ma nessuno sembrava interessato a quel fatto, che forse era   straordinario solo per me.

Il tripudio di quei fiori bianchi e rosa che quell’albero aveva generato, mi aveva proprio incuriosito; non mi davo pace, fino a quando il custode in pensione che conoscevo me ne ha spiegato la ragione: era stato proprio lui ad innestare un ramo di pesco sulla pianta. “Perché?” gli ho chiesto e lui mi ha risposto che gli sembrava una cosa bella da fare…

Mi trovavo lì perché quella  scuola, che avevo frequentato da bambina, era rimasta vuota da  qualche anno ed era stata adibita a sede provvisoria per il nostro istituto, che era in ristrutturazione per mettere a norma gli impianti. Le mie colleghe non avevano voluto venirci, io invece ero molto vicina a casa ed avevo accettato. Il lavoro enorme che ho fatto non mi è stato mai riconosciuto, ma quella visione di fiori e di bellezza mi ha ripagato per tutta la vita e devo proprio dire che è stato il più bell’ufficio in cui ho lavorato.

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